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VULVODINIA

VULVODINIA

VULVODINIA: PATOLOGIA IN CERCA DI RISCATTO 

 

Per vulvodinia si intende un dolore cronico alla vulva, ossia i genitali femminili esterni e i tessuti che circondano l'accesso alla vagina, della durata di almeno 3 mesi.  

Può essere continuo o intermittente, spontaneo (senza una causa scatenante) o provocato dai rapporti sessuali, dalla visita ginecologica, dallo stare seduti, dall’attività fisica, dal semplice contatto con la biancheria o da cattive abitudini igieniche. È un dolore che si caratterizza come bruciante, pungente, con irritazione e secchezza, sensazione di abrasione a livello vulvare, tensione, percezione di avere tagli sulla mucosa. Può interessare tutta la vulva, oppure localizzarsi in una zona precisa, ad esempio nel vestibolo, l’apertura della vagina; in questo caso, si parla di vestibolodinia, la variantepiù frequente di vulvodinia (80%). Il tessuto vulvare spesso non appare infiammato o gonfio, nella maggior parte dei casi ha un aspetto normale.  

 

Un problema per 1 donna su 7, diagnosticato con notevole ritardo  

Complessa, multifattoriale e sfaccettata, senza lesioni o anomalie visibili, la vulvodinia è ancora poco conosciuta dagli stessi medici che, considerandola difficile da affrontare, la trascurano oppure tendono a liquidarla come “psicogena” e quindi di competenza dello psicologo.  

Al contrario, si tratta di un disturbo con solide basi biologiche, di competenza medica e più frequente di quanto si pensi: gli ultimi dati indicano che dal 10 al 18% delle donne soffre di vulvodinia nel corso della propria vita2. Il problema si manifesta in ogni etnia e in diverse fasce d’età, ma si concentra soprattutto tra i 20-40 anni.  

Nonostante sia così diffusa, la vulvodinia può rimanere a lungo non diagnosticata e non curata. Affette da una malattia "invisibile", le pazienti restano imprigionate in un calvario fisico ed emotivo invalidante, che ostacola la sfera relazionale, i rapporti sessuali, gli studi e l’attività lavorativa, aggravato dal fatto di essere considerate ipocondriache o affette da disturbi psicologici. In realtà, la componente mentale è una conseguenza e non la causa della patologia: il malessere, l'impatto negativo su quotidianità, socialità e sessualità tendono inevitabilmente a minare l'equilibrio psicologico della donna. 

Seconda una recente indagine3 condotta in Italia su 496 donne, di cui 439 con diagnosi di vulvodinia confermata da uno specialista, nella maggioranza dei casi sono stati necessari 3 o più consulti medici prima di poter dare un nome alla propria condizione. Ciò comporta in media un ritardo diagnostico di 4,8 anni, dall’esordio dei sintomi all’inizio della terapia corretta, e concorre alla cronicizzazione del disturbo. 

 

Un insieme complesso di cause 

Ad oggi non è nota l’esatta origine della vulvodinia ma si conoscono alcuni elementi importanti sulla sua insorgenza, spesso dovuta a più cause che interagiscono fra di loro.  

In molte donne affette dalla malattia, è stata riscontrata una predisposizione genetica alle infiammazioni e le fibre del nervo della zona vulvare e vestibolare (il nervo del pudendo), in queste pazienti, sono più numerose e voluminose. La proliferazione di queste fibre nervose genera un’eccessiva stimolazione dolorosa che provoca, a sua volta, uno spasmo del pavimento pelvico, ulteriore causa di fastidio e male. Spesso la malattia è preceduta da ripetute infezioni vaginali e/o vescicali.  

Si è ipotizzato, pertanto, che la vulvodinia sia legata a un’ipersensibilità delle terminazioni nervose vestibolari, scatenata da un’alterata risposta a stimoli infiammatori ripetuti, con l’aggravante di un’ipercontrattilità della muscolatura vulvare. Al disturbo possono concorrere anche: un parto conlacerazioni o episiotomia, lesioni o irritazioni ai nervi che circondano la regione vulvare, allergie o ipersensibilità localizzata della pelle e sbalzi ormonali. 

La diagnosi è semplice ma occorre conoscere bene la malattia 

La diagnosi dev’essere fatta da un ginecologo o da un urologo esperto della patologia e richiede:  

·        un ascolto attento dei sintomi riportati dalla paziente,  

·        un’analisi accurata dei segni clinici 

·        una particolare attenzione alle frequenti comorbilità – mediche e sessuali – a cui la vulvodinia si può associare.  

Per arrivare alla diagnosi bisogna, infatti, poter escludere altre condizioni come vaginismo o lesioni evidenti che riportino ad altre patologie o infezioni. Inoltre, il dolore riferito deve persistere da almeno 3-6 mesi e un particolare esame, detto swab test, deve avere esito positivo. Si tratta di una procedura molto semplice e non invasiva che prevede l’utilizzo di un apposito cotton-fioc, con il quale vengono toccati alcuni punti specifici della vulva. Se la paziente manifesta dolore al tocco, probabilmente soffre di vulvodinia. 

 

Guarire si può: l’importanza di un approccio multimodale e personalizzato 

Una diagnosi per esclusione non significa che, insieme alla vulvodinia, non si possa avere un’infezione in corso. Attraverso l’esame obiettivo e l’anamnesi, si possono individuare eventuali comorbidità e prescrivere la terapia più adatta, consigliando, se necessario, un consulto con altri specialisti.  

Un approccio terapeutico appropriato alla vulvodinia non può ridursi a una singola visita o a una prescrizione estemporanea. Dato il carattere multifattoriale della patologia, la terapia richiede un percorso che spesso deve essere di tipo multidisciplinare, con l’intervento, oltre che del ginecologo, anche dell’ostetrica, dell’osteopata, del gastroenterologo e del nutrizionista (per eventuali implicazioni a carico del tratto digerente), del neurologo, dell’urologo, del fisioterapista, dello psicosessuologo e/o dello psicoterapeuta. 

Di conseguenza, la strategia di cura dovrebbe essere multimodale, ossia avvalersi dell’uso di più strumenti terapeutici, in modo coordinato: prodotti topici, farmaci per via orale, trattamenti fisico-riabilitativi, infiltrazioni di anestetici o antinfiammatori, tecniche strumentali quali elettrostimolazione, radiofrequenza e laser, psicoterapia, dieta, norme di comportamento (ad esempio indossare biancheria intima bianca e pantaloni comodi e ampi, usare detergenti intimi adeguati, non trattenere l’urina, usare assorbenti di cotone, evitare attività che esercitano pressione sulla vulva come andare in bicicletta o a cavallo). 

Oggi la ricerca ha compiuto importanti passi avanti, offrendo diverse soluzioni che consentono alle donne di ritrovare una vita normale e l’intesa di coppia, a patto che la vulvodinia venga gestita in maniera appropriata e competente. Non esiste una cura unica che vada bene per tutte le pazienti, perché ogni caso è complesso e investe diversi fattori. In sintesi, andrebbe studiato uno specifico percorso di cura in cui la combinazione delle diverse opzioni terapeutiche viene definita sulle esigenze e le peculiarità di ognisingola donna. 


Fondamentale è affidarsi a Centri di cura competenti ed aggiornati nella cura della malattia. 

Da Gennaio/2024 è attivo presso l’ Ospedale Isola Tiberina - Gemelli Isola un ambulatorio specificatamente dedicato alla diagnosi e cura della vulvodinia (resp. Dott.ssa Toni Nicla), una delle poche realtà ospedaliere finalizzate alla gestione delle sindromi da dolore vulvare persistente. 


 

 
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Contattate lo Studio di Ginecologia, per conoscere tutti i servizi medici specialistici che la dott. Nicla Toni è in grado di predisporre per la salute delle donne.

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Menopausa: la terapia laser combatte i sintomi in modo sicuro e indolore

Nel momento in cui la donna attraversa il periodo della menopausa, può andare incontro a diversi disturbi e disagi.
Da tempo, però, sono sempre più numerose e specifiche le tecniche che alleviano le profonde trasformazioni fisiche e psicologiche che compaiono durante questo momento della vita.
Uno dei più moderni ed efficaci interventi è senza dubbio quello della laserterapia, introdotta recentemente anche in ginecologia.

Durante la menopausa avvengono dei cambiamenti di cui spesso le donne hanno difficoltà a parlare. In particolare riguardo la perdita di tono e idratazione dei tessuti delle zone intime, che induce una scarsa lubrificazione vaginale, causando secchezza, prurito vulvare, senso di pesantezza.
In alcuni casi, può arrivare a provocare dolore durante il rapporto sessuale (dispareunia).

La terapia laser ginecologica fornisce un aiuto, evitando i possibili effetti collaterali delle terapie farmacologiche: il laser corregge la riduzione di volume della mucosa, anzi la rimodella, ripristinando l'idratazione e l'elasticità, in modo indolore e sicuro.

I vantaggi della terapia laser per la mucosa vaginale
La laserterapia ripara i tessuti utilizzando la CO2 frazionata, con un azione termica ma non ablativa, come accadeva con i vecchi laser. Permette alle donne in menopausa una ripresa di tonicità, elasticità e reidratazione della mucosa.
Il laser CO2 frazionato funziona con un riscaldamento controllato della mucosa vaginale, che consente di stimolare l’angiogenesi, l'attività dei fibroblasti e la formazione di nuovo collagene (anti-age).
Il riscaldamento controllato è una procedura sicura, semplice, indolore - non necessita di anestesia e non provoca danni.

Il laser in ginecologia può essere utilizzato in molti disturbi a cui la donna può andare incontro, non solo durante la menopausa ma anche in altre fasi della vita dall'età fertile.

  • Atrofia vulvo-vaginale;
  • Incontinenza urinaria da sforzo;
  • Distrofie vulvari (lichen);
  • Lassità vaginale - ripristina l'integrità dell'epitelio e l'elasticità della mucosa vaginale;
  • Cicatrici da lacerazioni da parto, da taglio cesareo o altri tipi di cicatrice;
  • Varicocele pelvico;
  • ipertono del pavimento pelvico (vaginismo);
  • vulvodinia, bruciore e dolore durante i rapporti sessuali;
  • Vita sessuale;
Ringiovanimento vulvare tramite laserterapia

Il calore emesso dal laser (Effetto Termico), permette la formazione di nuovi vasi sanguigni e la rigenerazione del tessuto nervoso. Si tratta di azioni che migliorano la perfusione e la sensibilità dei tessuti vulvari.
Nel momenti in cui si stimola la produzione di nuovo collagene tipo I, si formano elastina e acido ialuronico negli strati del derma, dando vita alla rigenerazione dei tessuti, e ad un ottimo recupero della funzione uro-genitale dell'apparato.
Si innesca un meccanismo che aiuta a ristabilire il corretto equilibrio trofico della mucosa vaginale.

A questo trattamento di ringiovanimento dei tessuti, si può associare anche la somministrazione di sostanze bio-rivitalizzanti, per via iniettiva oppure attraverso elettroporazione: vitamine, aminoacidi, acido ialuronico, polinucleotidi.
Un possibile supporto per prolungare l'effetto benefico della laserterapia.

Perché affidarsi al laser frazionato a CO2?
Di solito l’atrofia vaginale viene trattata attraverso terapia ormonale, che mostra buoni risultati ma che, come ogni farmaco, può avere anche degli effetti collaterali.
Il Frazionato a CO2 è indicato alle donne che non desiderano terapie farmacologiche, ormonali o non ormonali.
Inoltre, presenta un'indicazione elettiva per le donne con tumori al seno, in terapia con inibitori delle aromatasi, che lamentano secchezza vaginale e dispareunia.
Gli effetti rigeneranti del laser in ginecologia, sulle fibre indebolite dal tempo e dalla carenza ormonale, come abbiamo visto sono notevoli tra produzione di nuovo collagene di tipo I, l'equilibrio trofico e la rigenerazione della mucosa.
Di conseguenza, tornando ad essere idratata, lubrificata ed elastica, provoca un miglioramento significativo della risposta sessuale e anche dei sintomi urinari e genitali.


Il trattamento di laserterapia ginecologica
Un ciclo completo richiede in media tre sedute, a distanza di circa trenta giorni.
Le sedute durano circa 15-30 minuti, vengono eseguite in ambulatorio, non sono dolorose e non richiedono anestesia.
Il trattamento è privo di effetti collaterali.

I risultati del laser CO2 sono evidenti già dopo la prima seduta, con una netta riduzione di bruciore, prurito e senso di secchezza nelle parti intime.

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